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I cluster d'impresa: opportunità di sviluppo per la professione

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L’economia italiana ha subito rilevanti trasformazioni negli ultimi anni, non solo per l’impatto della crisi economico-finanziaria scoppiata nel 2017 negli Stati Uniti poi propagatasi a livello globale con un forte impatto negativo sull’Italia e l’Europa nel 2009, ma anche per la tendenza di lungo periodo del sistema Italia alla perdita di competitività del tessuto produttivo. Basti pensare che, negli ultimi venti anni, la crescita media annuale del PIL è stata pari a +0,5% contro il +1,6% della Germania, il +1,8% della Francia, il +2,5% della Spagna e il +2,4% del Regno Unito. Nel 2017, il PIL misurato a prezzi costanti è ancora inferiore del 5,5% a quello del 2006. 

Attualmente, il PIL italiano è composto per il 74% da attività terziarie, per il 24% da attività industriali e solo per il 2,1% da agricoltura, allevamento, silvicoltura e pesca. Vi è una quota significativa di terziario avanzato che, però, resta sensibilmente inferiore a quella media dei paesi più industrializzati. Tra le filiere produttive, l’edilizia, con il 17,4%, è quella che contribuisce maggiormente alla creazione di valore aggiunto seguita da Agribusiness con l’11,1%, dall’Ict con il 7,5%, dalla Sanità con il 7% e da Trasporti e logistica con il 6,2%. I grandi motori del Made in Italy, come il Sistema moda (4,6%) o la Meccanica (4,4%) forniscono un contributo significativo ma, probabilmente, ancora inferiore alle enormi potenzialità che rappresentano. 

Per molti anni, le filiere produttive hanno guidato la politica economica industriale dell’Italia. Più recentemente, però, è venuto alla ribalta il concetto di cluster produttivo che ha acquisito un posto centrale nelle strategie europee di promozione dell’innovazione. È del 2009 la comunicazione della Commissione europea “Verso cluster produttivi di livello mondiale nell’Unione europea: attuazione di un’ampia strategia dell’innovazione”, mentre il tema dei cluster tecnologici occupa un posto di rilievo nel programma “Horizon 2020” lanciato nel 2011 sempre dalla Commissione europea e ancora di più nella Strategia di specializzazione intelligente, che informa gli attuali programmi di ricerca e sviluppo e che ha dato vita ai Cluster tecnologici nazionali. 

I cluster produttivi o industriali sono un concetto simile ma distinto da quello di distretto industriale. Quest’ultimo è stato elaborato nell’ambito degli studi di economia industriale italiana negli anni Ottanta per rappresentare la specificità tutta italiana di sistemi produttivi localizzati e fortemente competitivi basati prevalentemente su reti collaborative di piccole e medie imprese. 

Oggi i distretti industriali continuano ad essere un valido punto di riferimento per la politica industriale italiana. Infatti, sono 141 i distretti individuati con un milione e mezzo di addetti manifatturieri e un peso significativo in termini di PIL. Di questi quasi 50 sono specializzati nei settori della Moda (tessile, abbigliamento, pelli, cuoio e calzature), mentre quasi 40 sono specializzati nell’industria meccanica, 24 nell’arredo e design e 15 nell’agroindustriale. Rappresentano, dunque, l’ossatura nevralgica del Made in Italy e testimoniano il forte radicamento territoriale delle migliori produzioni nazionali.

I cluster produttivi, nella specifica dimensione dei Cluster tecnologici nazionali tendono a superare i confini territoriali per costruire piattaforme nazionali e poi sovranazionali con specializzazioni molto verticali e skills molto elevati.

Il progetto “Attività di impresa” del CNDCEC tiene conto della complessiva analisi qui presentata, sia della dimensione settoriale che di quella connessa alle filiere e ai distretti, preferendo puntare sui cluster come base di riferimento sia teorica sia pratica per lo sviluppo del progetto stesso che punta a rafforzare i contenuti specifici della professione e a creare, in tal modo, nuove opportunità per i Commercialisti.


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